Vezza d’Oglio – Acqua che salva, acqua che distrugge

Il lago dei Silissi, in una mappa del primo '800.
Il lago dei Silissi si formò nel XVIII secolo dopo una frana

“Essendo Iddio il padrone di tutte le creature, si serve egli ora di questa ora di uella per punir l’uomo. L’anno 1614 si servì il Signore delle piogge sterminate  che portarono un gravissimo danno a molte terre della Valle” (S. Togni Marotta, Annali della comunità di Edolo, 1772).

Il territorio è segnato dalla forza dei fiumi. Silenzioso, l’Oglio ha lavorato per millenni, scavando la valle, ed i suoi affluenti hanno marcato con il loro corso i versanti delle montagne.

A volte, tuttavia, la natura scatena una violenza incontrollabile: in passato, questo era dovuto soprattutto a frane, precipitazioni eccezionali per quantità o intensità, e altri eventi imprevedibili. Per limitare i rischi, si cercava di costruire nei punti più riparati, e toponimi come Ruina, Caret e simili, segnalano anche oggi la pericolosità o l’insalubrità di certi luoghi.

Chi edificava in zone a rischio, per esempio lungo i torrenti più impetuosi, lo faceva per poter sfruttare l’acqua come forza motrice, per attivare macine, folli, magli.

Il torrente Fumeclo a Vione
“accrescè talmente la valle dei Mulini, che menò via e condusse seco sin dalle fondamenta le focine, molini e altri edificj”

 

“L’anno 1521… a Vione furono tali piogge che accrescè talmente la valle dei Mulini, che menò via e condusse seco sin dalle fondamenta le focine, molini e altri edificj della famiglia Orlandi, ed altri d’altre famiglie, con tale impeto chè arrivata sì gran mole alle case o finili di Togna li spianto pe raffatto e ridusse tutto nel fiume Oglio; et nell’istesso tempo all’incontro, intorno ad una piciol aqua, o Valeta chiamata Finalecla, chè divideva il comun di Vione da quello di Dalegno, staccatasi la montagna o terreno e calato a basso con gran fremito e vehemenza, chè incontrandosi con la Rovina dei Molini fermò il fiume Oglio che allagò sin a Pontagna, con grand impeto e rapacità, lasciando adietro solo quel gran Dosso chiamato ora delli Boscazzi, che avanti tal ruina era quel tratto di territorio nella pianura…” (Bernardo Biancardi, 1695, Fondamenti historiali del forte e antico castello di Vione).

Per proteggersi dalla forza delle acque, i nostri antenati costruivano argini, e le vicinie votavano disposizioni per vietare lo scarico di materiali all’interno degli alvei dei torrenti.

A volte nessuno strumento umano poteva opporsi all’alluvione: ecco allora sorgere luoghi di culto come protezione, e di leggende collegate a questi.

Una testimonia la pericolosità delle inondazioni anche in epoche piuttosto recenti e la durata di queste forme di religiosità popolare. E’ la leggenda della Santela del Cornacc.

Nel 1911, un’alluvione distrusse due case all’imboccatura della Val Grande di Vezza. Una di queste case venne ricostruita e, con la casa, costruirono anche una Santella come devozione alla Madonna affinché proteggesse la casa. Il torrente straripò ancora ma la casa non fu più travolta.

La Santela del Cornacc esiste ancora oggi, ed ha appena compiuto un secolo.

Le citazioni sono tratte dal libro “Levandosi i fiumi sopra le sponde” di Giuseppe Berruti. Fotografie di Alfredo Faiferri.

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